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L'attività sociale > 2020 - Divagazioni II
 
 


Divagazioni al tempo del Coronavirus

2^ fase

 
 
 

Sebastiano Amato  

 

Divagazioni semiserie  e semiapocalittiche al tempo
del Corona virus replicante

 

Sono ormai trenta anni che, felici e  contenti, ilari persino, ci affidiamo ai minuscoli, ma strabilianti "giocattoli" che sempre più potenti la tecnologia con velocità  miracolosa ci mette, giornalmente quasi, a disposizione. Ed è con questi strumenti che ci siamo messi in testa che è possibile dominare il reale, compresa la dimensione spazio - temporale. Di questo reale fanno naturalmente parte anche innumerevoli esseri viventi che la Natura si ostina - quale impertinenza - ad ancora tenere in vita nel nostro non morto pianeta. L’Antropocene, tra sfruttamento e distruzione sempre crescente di ogni habitat, col supporto della "neutra" Scienza, ha raggiunto un picco altissimo e il bel risultato è di aver semidistrutto l’aspetto fisico del pianeta e compromesso le condizioni di vita di tutti gli esseri su di esso viventi. I danni arrecati da questo attacco, per alcuni esaltante, per altri sconsiderato e demenziale, sono sotto gli occhi di tutti: i ghiacci polari si sciolgono, i deserti avanzano, le foreste spariscono, le temperature medie aumentano pericolosamente, le precipitazioni  non sono più le piogge di un tempo, sono tempeste tropicali, quando non uragani, che arrecano danni incalcolabili a territori a loro volta già devastati e compromessi da incendi colossali, da sfruttamento insostenibile e da urbanizzazione irrazionale, quando non criminale. È il Progresso, è il prezzo da pagare al Progresso: «Ego sum lux mundi … quamdiu sum in mundo, lux sum mundi», dice l’Evangelista. E poi la lux non è anche via, vita, veritas? Se andava bene per il Cristo e il Logos, andrà pur bene per il Progresso. Suvvia. Brevi pianti di coccodrillo e si ricomincia, più agguerriti di prima. Intanto noi tutti, chi più chi meno, digitiamo, gli occhi fissi ai piccoli schermi luminosi, che ci trasportano in un’altra dimensione: non sono più mezzi utili, strumenti preziosi di cui far uso; hanno cambiato "Categoria", sono quasi diventati la sostanza, l’essenza del nostro essere: digito, ergo sum. Credo a questo punto che il De Ente et Essentia del vecchio amico Kant non basti più. La nostra, comincio a pensare, è quasi una scommessa faustiana. Non solo. Con questi straordinari mezzi crediamo di dominare il creato e i suoi processi evolutivi: la terra "pacata" e inerte non attende altro che un nostro cenno per produrre, concedere, offrire tutto e subito a quel nanerottolo bipede che la Natura, non si sa perché, ha dotato di un’intelligenza e un’abilità che non hanno pari negli altri esseri viventi. Ma, si sa, la auri sacra fames acceca e un inavvertito e subdolo desiderio di onnipotenza ha obnubilato le menti di uomini e di nazioni intere. Ma il Mito non era morto? No. Il mito della tecnologia e la sua produzione non sono morti e producono i loro effetti perniciosi. Che non sono né esametri né endecasillabi. E nessuno, tranne pochi, destinati a rimanere, malgrado aperture e concessioni e accordi,  inascoltati o giù di lì, hanno piena e compiuta coscienza di ciò che sta accadendo e volontà ferrea di imboccare una nuova via, che per essere salvifica deve essere di necessità da tutti condivisa. Molti amici potrebbero obiettare: «Ma si sta facendo molto anche ai più alti livelli internazionali». Sì, certo. Ma in concreto veramente le organizzazioni  internazionale, dall’ONU in giù, e le nazioni e, soprattutto, le grandi compagnie multinazionali stanno facendo in maniera coerente e solidale quello che è assolutamente necessario e sufficiente? La risposta è che c’è da dubitarne.
L’approdo ultimo di tali comportamenti è stato quello di trovarci in un mondo tormentato, ma globalizzato e interconnesso, in cui, però, la Natura asettica e algoritmizzata, ma per niente convinta, comincia a dare il meglio di sé per ricacciarci indietro e farci ingoiare le nostre granitiche e stolide convinzioni.
Ed ecco che bel bello nell’autunno del 2019 nelle amene contrade d’Italia e d’Europa prima e poi nelle favolose Americhe (l’Africa, si sa, è quello che è), venendo di Cina e di Cocincina, è arrivato un microscopico quinto cavaliere dell’Apocalisse,  un Coronavirus, il Covid-19, che nel giro di pochi mesi ha sgretolato molte delle nostre certezze e delle nostre balorde convinzioni. Lo stupore generale è stato sommo: «Il Coronavirus? Ma che è? Ma come? Perché?». In realtà c’è da stupirsi che ci stupiamo. È il mondo globalizzato, interconnesso, intercollegato, in cui nessun luogo è irraggiungibile materialmente e virtualmente, sì, è questo mondo la causa di tutto. Perché in questo mondo non viaggiamo solo noi, razionali e sciocchi consumatori di fole, viaggiano anche altri "signori"  meno provvisti di buone intenzioni e destituiti di ogni sentimento o pretesa umanitaria. Viaggiano a miliardi, felici e beati, vivaci e vegeti, belli anche, talvolta, nelle foto segnaletiche, scarrozzati su aerei, navi, treni, camion, barche, bus, tram. Infine sciamano muovendosi sulle nostre gambe, irrobustiti quasi da cure rinforzanti, decisi a colonizzare luoghi mai prima visti, ad aggredire strani soggetti mai prima conosciuti, increduli che il mondo si sia spalancato davanti a loro. Dopo milioni di anni trascorsi in qualche recondito buco o landa o palude o foresta o mercato dal tanfo insopportabile, vengono ora trasportati dappertutto. E dappertutto fanno "maravigliosamente" il loro mestiere: colonizzare, replicarsi, infettare, contagiare, spedire all’altro mondo il malcapitato che ne incroci la strada, soprattutto se non verde d’anni.
Uno di questi è appunto il Covid-19, non sappiamo se tonificato dalla sempre neutra "scienza umana". Il quale, malgrado gli sconquassi provocati in sei mesi di meticoloso lavoro, non trova ancora unanime consenso, ma annovera milioni di detrattori che vorrebbero declassarlo a virus di terza classe. La cosa lo ha contrariato non poco ed ecco che nell’ottobre di questo infinito 2020 ha ripreso con maggior lena a operare, fattasi ben bene affilare la lama della falce che qua e là parea spuntata. Eppure la comunità scientifica aveva reagito compatta, anche se un po’ sbandata, forse più d’istinto che di scienza, forse un po’ in ritardo. Forse non avevamo capito che poteva ancora accadere? Eppure non molto tempo fa altri "signori", stavolta africani, avevano creato non poche apprensioni e paure, oltre ai morti naturalmente. Erano stati in parte domati, ma non del tutto vinti. I progressi scientifici e tecnologici sono stati in questi ultimi venti anni troppo grandi – si pensava - per temere ormai l’assalto di primordiali minuscoli agglomerati di proteine, che devono essere ingranditi decine di migliaia di volte per essere visibili. Bene. Eccoci serviti.
Certo, virologi, infettivologi, epidemiologi, biologi, cacciatori di batteri e di amebe varie sono stati sempre impegnati in una diuturna pugna tra ampolle, fiale, vetrini, microscopi, spettrometri di massa, celle frigorifere e altri innumerevoli strumenti, immersi ad osservare, annotare, ripetere esperimenti. Per conoscere, distinguere, classificare, catalogare. Spesso isolati e dall’opinione pubblica talvolta considerati dei perdigiorno alla ricerca di non si sa che cosa. Ma non sempre i mezzi erano sufficienti, anche perché a poco a poco decurtati. Ora vengono addirittura sbeffeggiati e derisi come incompetenti da parte di molta gente fra i banchi dei mercati o nelle salumerie e quel che è peggio anche in dibattiti televisivi o sui giornali. Esposti al ridicolo e al pubblico ludibrio perché non sempre sono d’accordo o addirittura mai, come se fosse segno di poca scienza, mentre le cose stanno esattamente al contrario: più scienza più confronto.
«E il vaccino? Perché non c’è ancora il vaccino?», siamo, però, tutti pronti a ripetere, puntando minacciosamente il dito contro un immaginario, invisibile virologo o biologo o chimico. «Con la tecnologia di oggi non dovrebbe essere un fiat?», aggiungiamo e incalziamo, sempre il dito minacciosamente puntato verso il malcapitato, per fortuna invisibile. Certo che no. Abbiamo dimenticato i "signori" di prima, Evola e HIV, quanto tempo c’è voluto per pervenire a protocolli capaci di combatterli? Si dirà che sono esagerazioni di una minoranza: sarà, non lo so.  So solo che è stato un brusco risveglio per indocti e docti. Anche la scienza, che ho difeso, non è esente da colpe. Forse perché si sentiva in grado di affrontare ogni emergenza. Ma, come sempre, le esercitazioni teoriche talvolta, poi, sul campo, in presenza del nemico che non sta a prendere il sole, dimostrano i loro limiti. Anch’essa ha peccato ed è bene che reciti un mea culpa e poi torni al lavoro come sta facendo, perché è l’unica che ci può portare fuori dalla tempesta, ammaccati, ma non defunti. E infatti buoni protocolli sono stati approntati, ma non ancora capaci di fermare orde di Covid - 19 che vanno alla carica, forse al suono della Cavalcata delle Valchirie, tracimando ovunque e spappolando le nostre sicurezze. E sono anche capaci di "mutare", complicando ancora di più il compito di chi li deve affrontare.
«Vuoi vedere» dice qualcuno «che è stato impartito loro un ordine ben preciso: "Andate e distruggete la civiltà degli uomini occidentali per le loro colpe"». Non è dato ancora sapere. Bisognerebbe catturarne qualcuno vivo, interrogarlo, metterlo al cavalletto e sottoporlo ad alcuni robusti e convincenti tratti di corda fino ad avere risposte chiare e esaurienti. E forse alla fine confesserà: «Sì, abbiamo ricevuto l’ordine e siamo venuti a distruggere questa civiltà, "per li sua peccata s’il sarà concesso"». Solo allora sapremo che cosa bisogna veramente fare per salvarci anche in futuro e rimanere a godere delle bellezze della nostra vecchia, ma ancora gagliarda Terra. Forse, però,  è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago. Perciò, per ora stiamo chiusi in casa  e cerchiamo di avere fede nella scienza. Alla fine il vaccino arriverà, prima della "fine", si spera.

 
 
 

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